TRIBUNALE DI TIVOLI 
           Ufficio del Giudice per le indagini preliminari 
 
 
           Ordinanza ex art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87 
 
    Nell'ambito del procedimento penale promosso contro 1) D. F.  A.,
nato a ... il 13 giugno 1976 e residente in F. (RI), via  B.  n.  ...
assistito e difeso dall'avv.  Frattini  Fabio  di  fiducia  domicilio
eletto: Tivoli (RM), via  Antonio  del  Re  n.  47  c/o  studio  avv.
Frattini Fabio; 2) P. L. nato a R. il 2 marzo 1956 ed  ivi  residente
in via di P. n. ... assistito e difeso dall'avv.  Frattini  Fabio  di
fiducia domicilio eletto: Roma, via di Prataporci  n.  161  c/o  soc.
M.A.C.E. S.r.l. 3) S. S.  nato  a  R.  il  22  gennaio  1946  ed  ivi
residente in via M. B. n. ...; assistito e difeso dall'avv.  Frattini
Fabio di fiducia domicilio eletto: Roma via di Montesacro  n.  2  c/o
Studio tecnico Salvi e associati 
 
                              Imputati 
 
    D. F. A. in qualita' di Amm.re Unico  «D.  F.  S.  S.r.l.»  ditta
subappaltatrice dei lavori di  escavazione;  P.  L.  in  qualita'  di
Amm.re Unico» 1 M. A. C. E. ditta aggiudicataria gara  d'appalto;  S.
S. in qualita' di Direttore dei Lavori del reato di  cui  agli  artt.
110 c.p., 192 comma 1 in relazione all'art. 256, comma  I,  lett.  a)
decreto  legislativo  n.  152/06,  perche',  in  concorso  morale   e
materiale tra loro, nelle rispettive q.p., abbandonavano sul  terreno
sito all'interno della ex cava in  Colle  Largo,  di  proprieta'  del
Comune di Guidonia Montecelio, rifiuti speciali non pericolosi  (cod.
CER 170504) costituiti terre e rocce da scavo provenienti dai  lavori
di realizzazione del parcheggio in via Fuori le Mura  nel  Comune  di
Guidonia, su una superficie di circa 3600 mq e per un quantitativo di
circa 2000 metri cubi. 
    Fatti acc. in Guidonia Montecelio (RM), loc. Colle Largo in  data
22 aprile 2013. 
 
                            Premesso che 
 
    in data 3 maggio 2013 il Pubblico ministero depositava  richiesta
di emissione di un decreto penale di condanna a carico degli imputati
sopramenzionati per l'importo di € 2.500,00 di  ammenda  cadauno.  In
data 14 novembre 2013 il decreto in questione veniva  emesso  con  la
prescrizione della sospensione condizionale della pena irrogata. 
    In data 10 dicembre 2013 il decreto veniva ritualmente notificato
agli imputati. In data 24 dicembre  2013  la  Difesa  degli  imputati
depositava atto di opposizione al citato decreto con  il  contestuale
deposito di una memoria (e di documentazione  allegata)  recante,  in
via principale, la richiesta di proscioglimento  ai  sensi  dell'art.
129 C.P.P. e, in subordine, l'istanza di ammissione all'oblazione  ai
sensi dell'art. 162-bis c.p. 
    Ritiene il Giudice procedente che la documentazione allegata alla
memoria difensiva depositata, in uno con l'atto di opposizione, il 24
novembre 2013 imponga la declaratoria di non  doversi  procedere  nei
confronti degli imputati sopra menzionati con la formula secondo  cui
il fatto non costituisce reato ed ai  sensi  dell'invocato  art.  129
C.P.P. 
    La documentazione depositata, infatti, fornisce la piena evidenza
che il fatto ascritto agli imputati non costituisce reato, avendo gli
stessi allegato la prova del loro incolpevole convincimento circa  la
piena  legittimita'  delle  attivita'  di   abbandono   dei   rifiuti
contestata nel capo d'imputazione. 
    La peculiarita' del cantiere (sito a ridosso del  centro  storico
di Montecelio, collocato su un rilevato di strade strette e destinato
alla  realizzazione  di  un  parcheggio  pubblico),  aveva  suggerito
l'inserzione nel contratto di appalto  di  un'apposita  clausola  per
effetto della quale «le materie trasportate in  rilevato  o  rinterro
con vagoni,  automezzi  o  carretti  non  potranno  essere  scaricate
direttamente contro le murature, ma dovranno depositarsi in vicinanza
dell'opera per essere riprese poi al  momento  della  formazione  dei
suddetti rinterri» per livellare il piano stradale (cosi' art. 26  in
allegato 5 all'atto di opposizione). Conseguentemente la peculiarita'
dell'insediamento impediva l'accantonamento in cantiere dei materiali
provenienti dagli scavi (come emerge dalla documentazione fotografica
allegata). A cio' occorre aggiungere che  l'atto  di  opposizione  ha
offerto la prova che l'area  individuata  nell'informativa  di  reato
della Polizia provinciale di Roma del 22  aprile  2013  come  oggetto
dell'illecito abbandono prefigurato nel capo d'imputazione era  stata
individuata  di  comune  accordo   tra   la   societa'   appaltatrice
dell'imputato P.  e  l'amministrazione  comunale  di  Montecelio  con
l'impegno, successivamente al completamento dei lavori, di bonificare
l'area destinata al deposito temporaneo  dei  materiali  di  risulta,
gia' occupata da rifiuti pericolosi e comunque destinata dallo stesso
Comune all'accumulo del materiale derivante dalle potature del  verde
pubblico  (cfr.  l'offerta  tecnica  in  allegato  7).  Il   deposito
temporaneo delle rocce  e  dei  detriti  ricavati  dall'attivita'  di
escavazione,  piu'  esattamente,  era   stato   concordato   con   il
responsabile unico del procedimento, il quale  aveva  assentito  alla
soluzione teste' indicata. Tant'e' che subito dopo  la  contestazione
operata dalla  Polizia  provinciale,  in  data  6  maggio  2013,  con
determinazione dirigenziale n. 193, l'amministrazione comunale  aveva
espressamente autorizzato (per meglio  dire,  ratificato)  le  intese
precedenti volte alla individuazione dell'area in contestazione  come
sito intermedio per  l'accantonamento  temporaneo  del  materiale  di
scavo (cfr. allegato 14). 
    Cio'  posto  deve  riconoscersi  che  il  fatto  contestato  agli
imputati non costituisce reato per avere D. F., A.  P.  L.  e  S.  S.
agito in buona fede e,  quindi,  in  carenza  assoluto  dell'elemento
soggettivo che contraddistingue l'ipotesi di reato loro contestata. 
 
                           Tanto premesso 
 
    V'e' da constatare che il disposto dell'art. 459 comma  3  C.P.P.
assegna  al  Giudice  il  potere  di  emettere  sentenza   ai   sensi
dell'art.129 C.P.P. nella fase antecedente  l'emissione  del  decreto
penale  di  condanna,  allorquando  ritenga  che  ne  sussistano   le
condizioni  di  legge.  A  sua  volta,  l'art.  464  comma  2  C.P.P.
stabilisce che «Il giudice, se e'  presentata  domanda  di  oblazione
contestuale all'opposizione, decide sulla  domanda  stessa  prima  di
emettere i provvedimenti a norma del comma 1», senza nulla  prevedere
in ordine alla possibilita' per il Giudice di definire il giudizio ai
sensi dell'art. 129 C.P.P. ex officio o su richiesta dell'imputato. 
    La giurisprudenza di legittimita' ha, a piu' riprese,  affrontato
il tema della possibilita' per il giudice che procede  ai  sensi  del
citato  art.  464  comma  2  C.P.P.  di  emettere  una  sentenza   di
declaratoria ex art. 129 C.P.P. nella fase  successiva  all'emissione
del  decreto  penale  di  condanna  ed  al  deposito   dell'atto   di
opposizione ai sensi dell'art. 464 C.P.P. 
    Dopo qualche oscillazione, la questione e' stata  definitivamente
risolta dalle Cassazione, sezioni  unite,  25  marzo  2010  n.  21243
secondo cui e' da considerarsi  «affetta  da  abnormita'  genetica  o
strutturale  la  sentenza  di  proscioglimento  emessa   dal   G.I.P.
successivamente all'opposizione a decreto penale di condanna, poiche'
il giudice e' vincolato in  tale  fase  all'adozione  degli  atti  di
impulso  previsti  dall'art.  464  Cod.  proc.  pen.,  e   non   puo'
pronunciarsi nuovamente sullo stesso fatto-reato dopo l'emissione del
decreto ne'  revocare  quest'ultimo  fuori  dei  casi  tassativamente
previsti». 
    Le  argomentazioni  svolte  dalla  Corte  di  cassazione   danno,
ovviamente,  atto  dell'esistenza  di  discordi   valutazioni   nella
giurisprudenza di legittimita'. Si legge, infatti, nella  motivazione
della  sentenza  ora  menzionata:  «Sul  tema  sono   da   registrare
orientamenti  discordanti   nell'ambito   della   giurisprudenza   di
legittimita'. Da un lato, si e' affermato (Sez. III, n. 8838, c.c. 20
novembre 2008, ric. Budel) che costituisce  legittimo  esercizio  dei
poteri previsti dalla legge la sentenza con la quale il  giudice  per
le indagini preliminari, investito di richiesta di giudizio immediato
da parte  dell'opponente  a  decreto  penale,  pronunci  sentenza  di
proscioglimento ex art. 129 C.P.P. (nella specie, per estinzione  del
reato  per  prescrizione  maturata  antecedentemente  alla  data   di
emissione del decreto penale); in  senso  conforme,  in  presenza  di
cause di estinzione del reato, Sez. III n. 979, c.c. 10 giugno  1992,
P.m. in proc. Bonfante; Id., n. 444, c.c.  10  marzo  1992,  ric.  in
proc. Calza). Dall'altro, si e' ritenuto (Sez. III, n. 20115, c.c. 16
marzo 2004, ric. P.m. in  proc.  Prevedello)  che,  nella  situazione
anzidetta, il giudice per le indagini preliminari non  puo'  adottare
de plano una sentenza  di  proscioglimento  ai  sensi  dell'art.  129
C.P.P., dovendo egli emettere il decreto di  giudizio  immediato,  in
quanto l'esigenza di immediatezza nella declaratoria di una causa  di
non punibilita'  deve  pur  sempre  trovare  attuazione  nelle  forme
ordinarie e nel rispetto del  contraddittorio  e  dei  diritti  delle
parti; con la precisazione (Sez. V, n. 15085, c.c. 27  gennaio  2003,
P.m. in proc.  Grisotto)  che  una  simile  sentenza  deve  ritenersi
abnorme, dato che il G.I.P. ha il potere di pronunciare  sentenza  ex
art. 129 C.P.P. allorche' debba delibare la  richiesta  del  p.m.  di
emissione di decreto penale ma non quando, emesso tale  decreto,  sia
investito dell'opposizione con richiesta di giudizio immediato». 
    Orbene pare evidente che l'art. 129 C.P.P.  «non  attribuisce  al
giudice un potere di giudizio ulteriore, inteso quale occasione [...]
atipica di decidere la res  iudicanda,  rispetto  a  quello  che  gli
deriva dalle specifiche norme che  disciplinano  i  diversi  segmenti
processuali»; dettando invece «una regola di condotta o di  giudizio,
la quale si affianca a quelle proprie della fase o del grado  in  cui
il processo si trova», che, «sotto il profilo dei tempi e dei modi di
applicazione, deve trovare attuazione nel  corso  delle  fasi  e  dei
gradi del processo  e  nell'ambito  della  corrispondente  disciplina
prevista, alla quale [il giudice]  deve  uniformarsi»  (cfr.  Sezioni
Unite n. 12283 emessa alla c.c. del 25 gennaio  2005,  ric.  P.m.  in
proc. De  Rosa).  Tuttavia  occorre  prendere  in  considerazione  la
specificita' del caso rimesso alla cognizione di  questo  Giudice  in
cui gli imputati hanno espressamente richiesto, per il ministero  del
proprio  difensore,  di  definire  il  procedimento  con   le   forme
dell'oblazione, onde evitare il pregiudizio derivante dalla  pendenza
del procedimento penale  ai  fini  dell'aggiudicazione  di  ulteriori
contratti ad evidenza pubblica. 
    Indubbiamente  anche  la  definizione  del  giudizio   ai   sensi
dell'art. 141 disp.att. C.P.P., con  la  conseguente  estinzione  del
reato, e' in condizioni di recare pregiudizio agli imputati sotto  il
profilo reputazionale di cui all'art. 38 del decreto  legislativo  n.
152/2006 (Codice degli appalti). Per  cui  non  puo'  in  alcun  modo
discutersi che sia  interesse  fondamentale  degli  imputati  vedersi
applicata  la  declaratoria  di  cui  all'art.  129  C.P.P.  in   una
condizione in cui ne risulta evidente l'innocenza sulla scorta  della
documentazione allegata. 
    L'opzione esercitata dagli imputati impedisce qualsivoglia  altra
soluzione, precludendo loro l'accesso ad una pronuncia di merito  che
ne accerti parimenti l'innocenza (cfr. art.  464  C.P.P.).  Ne'  puo'
discutersi dell'inevitabile prolungamento dei tempi del giudizio  che
deriverebbe  da  un  rigetto  dell'istanza  di  oblazione  ai   sensi
dell'art.  141  comma  4  disp.  att.  C.P.P.  obliquamente  volto  a
consentire  agli  imputati  di  rimettere  in  discussione   la   res
iudicanda, atteso che le cause di rigetto dell'istanza  di  oblazione
sono tutte da interpretare contra reum. 
    Alla stregua del  diritto  vivente  che  regola  il  procedimento
monitorio nella fase ex art. 464,  comma  2  C.P.P.,  ritiene  questo
Giudice che non sia conforme ai canoni costituzionali che  una  volta
che «il decreto di condanna sia  stato  emesso,  il  giudice  per  le
indagini preliminari (sia) spogliato di poteri  decisori  sul  merito
dell'azione  penale,  incombendo  sullo  stesso,  ove  sia   proposta
opposizione, esclusivamente poteri-doveri di propulsione processuale,
obbligati nell'an e nel quomodo, con la sola eccezione  rappresentata
dalla decisione sulla eventuale domanda di  oblazione  (v.  art.  464
comma 2 C.P.P.)» (Cassazione citata). Per giunta non appare  corretta
l'interpretazione che il medesimo diritto vivente opera in  relazione
ad un'asserita violazione delle  regole  sulla  incompatibilita'  che
deriverebbe  dalla  declaratoria  ex  art.  129  C.P.P.  Secondo   la
pronuncia in commento «dato che l'art. 34 comma 2 C.P.P. inibisce  al
giudice che abbia emesso decreto penale di condanna  di  «partecipare
al giudizio» concernente Io stesso imputato (v. specificamente  Corte
cost., ord. n. 126 del 2001; e in genere, sull'ampio significato  del
termine «giudizio», Corte cost., sent. n.  131  del  1996)»  da  cio'
dovrebbe trarre  conferma  la  decisione  che  censura  come  abnorme
l'eventuale sentenza ex art. 129 C.P.P. Invero e' lo stesso art.  141
comma 3 disp. att. C.P.P. a prevedere che il  medesimo  giudice,  una
volta che sia versato l'importo della cauzione a cura  dell'imputato,
dichiari l'estinzione del reato con sentenza, a dimostrazione di  una
valenza del tutto attenuata della clausola di incompatibilita' di cui
all'art. 34 comma 2 C.P.P. 
    In questo consolidato  ed  univoco  quadro  ermenuetico  deve  il
decidente dubitare della  legittimita'  costituzionale  del  disposto
dell'art. 464 comma 3 C.P.P.  nella  parte  in  cui,  in  difformita'
dell'art. 459 comma 3 C.P.P., non  consente  al  Giudice  che  riceve
l'atto  di  opposizione  con  contestuale  richiesta  di   ammissione
all'oblazione di pronunciare sentenza ai sensi dell'art. 129 C.P.P. 
    Cio' comporta che il giudice possa rilasciare la declaratoria  in
questione quando e' investito su impulso del solo Pubblico  ministero
della richiesta di decreto penale  di  condanna,  ma  che  non  possa
rivedere la propria decisione (con la revoca del  decreto  monitorio)
allorquando abbia  avuto  completa  conoscenza  delle  argomentazioni
difensive  contenute  nell'atto  di  opposizione.   Con   l'ulteriore
sperequazione,  in  questa  specifica  ipotesi,  di  infliggere  agli
imputati il pagamento di una somma di denaro a titolo di oblazione ex
art. 162-bis c.p. da cui dovrebbero essere tenuti esenti  in  ragione
della loro comprovata innocenza. 
    Per effetto della disposizione impugnata si determina una  palese
equiparazione nel  trattamento  processuale  che  e'  riservato  agli
imputati prima e dopo l'emissione del  decreto  penale  di  condanna,
posto che se le indagini preliminari si fossero compiutamente  svolte
con l'acquisizione della documentazione allegata,  poi,  all'atto  di
opposizione, i medesimi imputati avrebbero  fruito  dell'applicazione
dell'art.  459  comma  3  C.P.P.  Il  completamento   del   compendio
probatorio  a  cura  della  difesa   e'   certo   fisiologico   nella
procedimento monitorio, ma non pare ragionevole la diversa latitudine
che l'interpretazione giurisprudenziale  ha  assegnato  all'art.  129
C.P.P. prima e dopo il rilascio del decreto penale  di  condanna,  in
presenza (ripetesi) di un'istanza di oblazione. 
    La norma censurata,  di  cui  si  richiede  a  Codesta  Corte  lo
scrutinio di costituzionalita' con l'eventuale  addizione  del  testo
normativo  vigente  nei  termini  sopra  indicati,  appare  cosi'  in
contrasto con  il  principio  di  ragionevolezza,  quale  particolare
accezione del principio di uguaglianza di cui all'art.  3  Cost.,  in
termini non dissimili da quelli gia' evidenziati  dal  Giudice  delle
Leggi   in   numerose   altre   sue    pronunce,    giacche'    rende
ingiustificatamente deteriore la  posizione  dell'imputato  nel  caso
contemplato dall'art. 464  comma  2  C.P.P.  rispetto  a  quella  del
medesimo imputato nella fase di cui all'art. 459  comma  2  C.P.P.  e
solo   in   ragione   del   fatto   che    costui,    contestualmente
all'opposizione,  ha  invocato  la  determinazione  oblativa.  A  ben
guardare l'adozione della sentenza ex art. 129 C.P.P.  ai  sensi  del
citato art. 459 comma 2 C.P.P. e' rimessa  alla  completezza  o  meno
delle indagini del Pubblico ministero prima (ma non dopo) l'emissione
del decreto penale di condanna. Si tratta di  un  assetto  normativo,
consolidato  sulla  scorta  del   diritto   vivente,   che   comprime
irragionevolmente il diritto di difesa dell'imputato, la  cui  tutela
costituzionale ex art. 24 della Costituzione si espande in ogni  fase
processuale, inclusa quella  presa  in  considerazione  nel  presente
giudizio. 
    La norma impugnata appare anche in contrasto con l'art. 27  della
Costituzione poiche'  lesiva  della  presunzione  d'innocenza  e  del
diritto dell'imputato a conseguire in ogni stato e grado del giudizio
l'assoluzione dall'accusa elevata a  suo  carico  quando  dagli  atti
emerga univocamente la non colpevolezza dell'imputato,  imponendo  al
giudice - in violazione del principio del libero convincimento  -  di
determinare la somma da versare a titolo di oblazione e  di  emettere
la sentenza di estinzione del reato con la relativa formula  ex  art.
141 comma 3 disp. att. C.P.P. 
    Quale ulteriore parametro del sindacato di  costituzionalita'  si
indica l'art. 111 della Costituzione nella parte in  cui  prevede  il
diritto dell'imputato di allegare prove della propria  innocenza  (in
questo  caso  attraverso  l'atto  di  opposizione)  e  di  conseguire
l'immediata declaratoria della propria innocenza nel  contraddittorio
(differito) imposto dal procedimento monitorio; nella  parte  in  cui
impone, con il  canone  della  ragionevole  durata,  di  evitare  che
l'imputato sia costretto a richiedere il  giudizio  abbreviato  o  il
giudizio  immediato  o  ad  attendere  il  giudizio   ordinario   per
conseguire   un'assoluzione   che   gia'   emerge    come    evidente
dall'incartamento processuale formato dalle parti.